Come Caravaggio si spinge oltre

Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, è uno dei miei punti di rifermento sul linguaggio visivo e “La Vocazione di San Matteo” è uno dei miei dipinti preferiti.

Parlo di lui per una delle domande che mi pongo spesso:
“In che modo un artista si spinge oltre?”.
Come c’è riuscito Caravaggio?
Si potrebbe dire molto sulla sua pittura, ma prendo in considerazione in questo piccolo approfondimento solo alcuni aspetti, cercando di capire come con le sue opere è diventato immortale.

Caravaggio è stato senza dubbio un genio, un innovatore, un animo ribelle e tormentato, particolare quest’ultimo da tenere in considerazione per analizzare e comprendere le sue opere. Basti pensare che, a causa delle sue fughe, ha dovuto abbandonare alcuni suoi strumenti e far uso sempre più spesso della memoria per dipingere.

Artista del “tenebrismo”, stile nel quale con un fascio di luce dirige la nostra attenzione ed elimina lo sfondo.  Un pittore dai forti contrasti, dalla gestualità che assieme alla sua luce dona movimento e solletica le nostre reazioni. Non solo.
Abbandona l’idea di rappresentare soltanto l’élite e si apre a dipingere gli ultimi della società, perché in loro vi è la condizione più degna, in quanto più vera, di esser rappresentata!
Modifica la realtà per comunicare e coinvolgere di continuo lo spettatore, come quando mescola abiti per lui contemporanei ad abiti apostolici. Ha una cura maniacale per i dettagli che nascondono sempre un significato e che distraggono, a tal punto da restare prigionieri dell’opera.

Capace, come i più grandi artisti, di non chiudere alcun cerchio.
Lascia le parentesi sempre aperte e ci induce così in uno stato di sospensione e di ambiguità che ci obbligano ad intervenire in prima persona sul contenuto e a far entrare in gioco i nostri sentimenti e le nostre emozioni, che divengono così un passaggio importante per completare l’esperienza.

Prendiamo ora, tra i tanti, solo due piccoli dettagli nella Cena in Emmaus della sua capacità di coinvolgimento che magari non tutti notano.

Il primo è la canestra che è posizionata oltre il bordo del tavolo. In quel momento è come se lo spettatore fosse invitato ad intervenire per sistemarla evitando che cada.

Il secondo, l’oste che sta per alzarsi dal lato del tavolo a noi prossimo, che rappresenta, a sua volta, un altro invito a riempire quel posto vuoto, a farci accomodare.

Ma perché parlare di Caravaggio in una sezione del mio blog rivolto al linguaggio fotografico e cinematografico come cineFotografia.it?
Perché Caravaggio viene giustamente considerato come il primo fotografo e il primo regista della storia e perché l’arte in generale è un’ottima base sia per la fotografia sia per il cinema.

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Guglielmo Antuono

Crediti immagini:
Vocazione_di_san_Matteo
Cena_in_Emmaus_(Caravaggio_Londra)